Abuso di posizione dominante: il recesso può essere nullo

Il Tribunale di Monza, con sentenza in data 27 dicembre 2018, si è inserito in una Giurisprudenza (invero tutt’altro che sconosciuta e, anzi, piuttosto lineare nel tempo) che prevede sanzioni differenti, dall’inefficacia alla nullità, per determinati atti compiuti da un’impresa che si collochi, nella relazione contrattuale-commerciale, in una posizione dominante rispetto alla propria controparte contrattuale.

Nel caso in commento, il Tribunale citato ha rilevato che il recesso da tutti i contratti, comunicato con un unico atto dall’impresa dominante, deve ritenersi abusivo, ai sensi dell’art. 9, L. n. 192/98, evidenziando la necessità di eliminare le conseguenze eccessivamente gravose che tale atto avrebbe inevitabilmente comportato in danno dell’impresa “debole”, mitigandole in applicazione della regola di buona fede e correttezza nell’esecuzione dei contratti, così da pareggiare il significativo squilibrio di diritti ed obblighi altrimenti determinato dall’atto negoziale lesivo.

A tale conclusione il Tribunale di Monza è pervenuto in aderenza di un orientamento consolidato di Giurisprudenza e Dottrina, secondo cui il divieto di abuso di posizione dominante costituisce una sorta di “clausola generale” (al pari, non a caso, della buona fede e correttezza contrattuale, di cui tale concetto rappresenta una vera e propria applicazione pratica), ritenendolo pertanto applicabile non solo alla subfornitura di cui all’art. 1 della L. n. 192/1998 (ossia quella caratterizzata da una condizione di dipendenza progettuale e tecnologica del subfornitore nei confronti del committente), ma anche a tutti i rapporti verticali fra imprese, in funzione produttiva o distributiva. La Corte di Cassazione sul punto ha affermato che l’art. 9, L. n. 192/98 “configura una fattispecie di applicazione generale, che può prescindere dall’esistenza di uno specifico rapporto di subfornitura, la quale presuppone, in primo luogo, la situazione di dipendenza economica di un’impresa cliente nei confronti di una sua fornitrice, in secondo luogo, l’abuso che di tale situazione venga fatto, determinandosi un significativo squilibrio di diritti e di obblighi, considerato anzitutto il dato letterale della norma, ove si parla di imprese clienti o fornitrici, con uso del termine cliente che non è presente altrove nel testo della L. n. 192 del 1998”.

La sentenza del Tribunale di Monza precisa che, nel caso specifico di recesso da un contratto di distribuzione fra imprese, occorre avere riguardo a due interessi contrapposti: (a) quello del recedente alla interruzione dei rapporti commerciali, e (b) quello contrapposto della controparte alla prosecuzione degli stessi rapporti. Nella soluzione del conflitto fra tali interessi, l’abuso del diritto rappresenta quel criterio alla luce del quale valutare la conformità della condotta delle parti rispetto alla clausola generale di buona fede e correttezza (si veda, per l’approfondimento di tale criterio, la nota sentenza della Cassazione sul caso Renault). La Suprema Corte, dopo avere riconosciuto la vigenza, nel sistema, di un generale divieto di abuso di ogni posizione soggettiva, ha affermato che “si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti”. Secondo i giudici della Cassazione “l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica”.

In applicazione di tale criterio, dunque, il Tribunale di Monza ha dichiarato abusivo il recesso dell’impresa dominante, con ciò tuttavia non accogliendo integralmente la richiesta dell’attrice di veder rimosso tout court il recesso, con conseguente continuazione dei rapporti sine die, ma posticipando l’efficacia del recesso di un lasso di tempo tale da permettere alla parte “debole” di fronteggiare il calo di fatturato conseguente all’interruzione del rapporto commerciale e trovare valide alternative sul mercato (e, così, il recesso che contrattualmente avrebbe dovuto avere efficacia dopo sei mesi, è stato aumentato giudizialmente a poco più di un anno).

La sentenza in commento si pone dunque in quel solco di espresso riconoscimento dell’abuso di posizione dominante quale principio non solo interpretativo del contratto, ma anche pratico/sanzionatorio, in merito alla (in)validità di determinate clausole contrattuali, con particolare attenzione alla fase di attuazione effettiva di quei diritti (abusivi) che la parte dominante si sia contrattualmente riservata, in danno della controparte debole.